Femminicidio di Furci, non è sempre e solo pazzia.

Morire perché il tuo fidanzato si convince che gli hai attaccato il coronavirus. Sembra una storia da Cronaca Vera, o di quelle notizie che arrivano, per esempio, dagli USA, e invece è successo a Furci Siculo, praticamente a casa nostra.  Una motivazione assurda, per la quale, ammettiamolo, è facile e giornalisticamente comodo parlare di raptus, di follia omicida: ma si può davvero pensare ridurre tutto a gesti isolati e momentanei, come se tutto andasse sempre bene e poi all’improvviso uno decide di mettere le mani al collo alla sua fidanzata e strangolarla, magari usare la pazzia momentanea, vera o presunta, quasi come giustificazione o spiegazione a un’atrocità del genere?

O forse bisognerebbe un attimo levarsi le bende dagli occhi, e capire che in ogni casa, anche quella dietro casa nostra, anche nella porta accanto, ci può essere una polveriera pronta ad esplodere. Che in ogni persona, e purtroppo, nel caso delle violenze sulle donne, in molti uomini cova una rabbia repressa che, nel migliore dei casi, si manifesta quando scatta una molla, come una situazione di isolamento e convivenza forzati, nel peggiore invece diventa un inferno quotidiano di violenze fisiche e psicologiche nei confronti delle donne, identificati come soggetti deboli sui quali riversare la propria furia repressa.

Non metti le mani al collo della tua fidanzata così da un giorno all’altro, se nella testa non hai già un verme che ti sta mangiando da dentro e che in questa situazione alla fine esplode in questa follia. Quella violenza ce l’hai già dentro, addomesticata forse dal quieto vivere sociale, dal doverti comportare come una persona rispettabile sempre e comunque davanti agli altri. Oa volte, quella violenza viene fuori a scatti, in un gesto di rabbia, una parolaccia, un insulto gratuito, piccoli episodi che l’altra persona magari lascia correre, sopporta, per un malinteso amore o per paura, forse, che capiti di peggio se ha una reazione. 

Restano, comunque, supposizioni, noi non possiamo sapere cosa è passato per la testa di Antonio quando la paranoia ha preso il sopravvento sulla sua razionalità: quello che non possiamo ignorare è che il “raptus” non capita a caso, ma è il tragico sbocco finale di qualcosa che già cova dentro, celato alla meno peggio, e per il quale non si è voluto chiedere aiuto prima, perché forse si pensava non fosse importante, perché mal consigliati, o peggio, che certi pensieri fossero in un certo senso legittimi.

Ora è facile gridare alla pena di morte o allo stupro in carcere, è fin troppo facile, nel momento in cui non abbiamo fatto mai quasi nulla per creare un clima culturale di reale parità di genere fra uomo e donna, da quella salariale a quella sociale, per cancellare secoli di stereotipi di genere per cui, ben che vada, la donna deve stare in casa con i figli e l’uomo al lavoro, per dirne una. Viviamo in una società nella quale se un uomo uccide una donna sul giornale c’è scritto che lo fa “per troppo amore, figuriamoci. La pazzia da coronavirus è una scusa, un pretesto, solo una miccia su una situazione esplosiva: e di bombe di violenza così, lo sappiamo tutti, ne scoppieranno tante ancora. Perché questo virus non sta solo avvelenando i nostri corpi: sta uccidendo anche le nostre menti.

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